05 febbraio 2018

Perché si dice: "A tempo perso"

Questo post è  figlio del poco tempo che ho a disposizione. Settimana scorsa un mio conoscente di Genova mi chiedeva come mai i post non uscivano con regolarità, magari tutti i giorni.
Le ragioni sono due. La prima legale, se scrivessi 365 post all'anno, il blog cadrebbe sotto la legge sull'editoria. Quindi andrebbe registrato, ci vorrebbe un direttore responsabile ed altre amenità  burocratiche. La seconda ragione e che i tre blog non sono la mia professione e che li porto avanti a tempo perso". Purtroppo il tempo è tiranno e non basta mai.
Ma il tempo è anche un bel oggetto su cui dibattere che ti porge tanto materiale per i post.
Quindi, dato che i post gli scrivo a tempo perso, incominciamo a parlare di questa locuzione. Le frasi fatte sul tempo, orario e non meteorologico, nascono tra la fine del XVII secolo ed il XIX secolo ed erano una forma di ingiuria rivolti ai nobili ed ai signorotti che lo sprecavano in quantitativo industriale. Con la rivoluzione industriale si capì  che il tempo era si un bene immateriale, ma che aveva un suo valore intrinseco.
A tempo perso vuol significare che un lavoro viene fatto nei ritagli di tempo, nei tempi morti della propria attività. Così si vuol indicare che il lavoro non viene fatto secondo un programma prestabilito, così  da poter dare una data del completamento.
Lunedì prossimo tratteremo su come "Ammazzare il tempo".

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